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Lu Peng, in libreria l’opera che mancava per conoscere la storia vera dell’arte contemporanea cinese

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Storia dell’arte cinese del XX e del XXI secolo. Un titolo degnamente impegnativo per un compendio storico critico sull’argomento che Rizzoli manda nelle librerie traducendo il ponderoso lavoro in due volumi di Lu Peng, storico dell’arte, critico e curatore, già direttore artistico della Biennale di Guangzhou. Oltre mille pagine, tra testo e illustrazioni, che compongono un’opera immancabile per la conoscenza di appassionati e di studiosi.

Mettiamo subito una cosa in chiaro, sembra volere dire l’autore, all’incipit della sua corpulenta fatica letteraria, sociologica, storica e politica, ancora prima che critico-artistica (oltre che questo, ovviamente, eccome): prima degli ultimi cento anni, durante i numerosi millenni che hanno preceduto la contemporaneità, in Cina la parola “arte”, nel senso e nel significato occidentale, non si era mai pronunciata. Un lemma, un senso e un significato cioè, che al lessico della società brulicante di mestieri e commerci al di là della Muraglia, non apparteneva. Al massimo si parlava di calligrafia e di pittura, certo, ma in quanto attività tecnica, abilità manuale, magari riproduttiva e mimetica, ma non associata allo spirito, ovvero alla “bellezza”. La parola chiave: “Meishu”, composto di “technè” e di “Bello”, per capirci con una miscela semantica dalle radici occidentali, è stata coniata nei primi anni del Novecento. Il composto linguistico, in Cina, indica da poco più di un secolo ciò che più comunemente si accosta alla parola “arte” in Occidente: “belle arti”, “abilità nella bellezza”, potrebbe essere il calco linguistico tradotto. A proposito va pure detto subito che buona parte della pregevolezza dell’opera è senz’altro da ascrivere alla “abilità nelle lingue” della traduttrice, Ornella De Nigris, che ha sapientemente tradotto, soprattutto, la rigida complessità dei concetti cinesi nella più fluida espressività dell’Italiano.

Ma il contenuto di tali complessi concetti lo ha magistralmente confezionato Lu Peng, offrendo a chi legge una vastissima, infallibile rassegna di tutto lo scibile noto e ignoto dell’arte contemporanea cinese. In pratica, come detto, avvalendosi di un vantaggio notevole, poiché essa coincide con l’intera storia dell’arte cinese. Fino alla fine dell’Ottocento, infatti, “Mei” era solo la bellezza intrinseca delle cose.

La disamina dell’autore, tuttavia, pur godendo del vantaggio di un periodo relativamente breve, e soprattutto assai recente e prossimo, è finemente esaustiva di ogni dettaglio, a partire dai fondamenti del sistema dell’arte cinese, che oltre alla relazione stretta con il modello occidentale, instauratosi con i prodromi delle prime globalizzazioni mercantili, si è immediatamente, intrinsecamente quasi, ammagliato con il sistema economico, finanziario, produttivo, da un lato. E dall’altro lato, fin dalla rivolta dei Boxer, con la proclamazione della repubblica democratica cinese, e poi con lo statalismo marxista maoista, e fino agli anni Settanta, con l’esperienza e la fine della cosiddetta “rivoluzione culturale”, inevitabilmente legata – l’arte – alla propaganda e alla comunicazione politica.

 Lu Peng, Storia dell’arte cinese del XX e del XXI secolo, Rizzoli, 2023
Lu Peng, Storia dell’arte cinese del XX e del XXI secolo, Rizzoli, 2023

Il dibattito intellettuale, creativo e produttivo, del sistema cinese dell’arte dei secoli scorso e l’attuale, apprendiamo dall’analisi didascalico, ma ben commentata, di Lu Peng, si è dunque steso sui binari storico estetico, nella perdurante diatriba tra “arte tradizionale”, ovvero tutta la lunghissima, sostanzialmente immutabile prassi storica dell’inchiostro e del pennello su carta di riso, e arte nuova, rivoluzionaria, codificata sui canoni importati e imitati dall’Occidente, pur tuttavia sfalsati diacronicamente di parecchi decenni. Se nella prima metà del Novecento i modelli cinesi erano il post-impressionismo, il modernismo, il realismo sociale e politico, ecco che nella seconda metà, fino ad almeno la fine degli anni ’80 dello scorso secolo, ad alimentare le ispirazioni degli artisti cinesi sono stati gli espressionisti tedeschi, i surrealisti, i dadaisti. E solo a partire dagli anni Novanta, dopo la liberazione psicologica dal giogo culturale dettato dalla Banda dei Quattro, e con l’istituzione di una rete mercantile dell’arte di stampo occidentale, gallerie, fiere, aste e biennali, ecco che l’arte cinese diventa a tutti gli effetti “contemporanea”, ossia in linea coassiale con i colleghi artisti dell’altra metà del mondo, importando ed eseguendo concettualismo, body art, performance, introducendo a gran forza la questione femminile e di genere, pur senza le ostentazioni e le protervie – questa ultima connotazione è nostra, ma l’autore lascia delicatamente trapelare il concetto – dell’attuale sistema occidentale. Il tutto, come sappiamo in quanto pubblico dell’arte, con risultati di grandissima qualità, versatilità interpretativa e innovazione sul calco di modelli non autoctoni.

È arduo, coraggioso, e parimenti rigoroso e onesto, il lavoro di ricerca e di assemblaggio dei dati storici e culturali che informano l’opera di Lu Peng, nella divisione meticolosa dell’arte cinese contemporanea tra il rispetto delle tradizioni e l’audacia dell’emulazione e del confronto con l’arte contemporanea dell’occidente. E altrettanto lucide, quasi spietate nella coerenza del giudizio, le conclusioni critiche: anzitutto, conclude Lu Peng, l’arte contemporanea cinese non è definibile come espressione etnico-geografica, quale potrebbe essere, è il suo esempio, l’arte contemporanea africana. In secondo luogo, ben più drastico e ultimativo: “La maggior parte delle attuali generazioni di artisti cinesi conosce approfonditamente coloro che hanno dato un contributo decisivo alla storia dell’arte, dal Rinascimento italiano (…) Duchamp, Beuys, Warhol (…). Sanno che l’arte ha infinite possibilità, ma (…) quando un artista torna nel suo studio deve ripensare a cosa sia la sua arte, a cosa dovrebbe fare, a come dovrebbe farlo…”

Un compendio educato, colto, rispettoso e privo di qualsivoglia tentazione retorica, che tuttavia contiene tra le maglie eleganti della “bella espressione” critica e storica una provocazione e una sfida al futuro delle “belle arti” cinesi.


Lu Peng
Storia dell’arte cinese del XX e del XXI secolo

Rizzoli, 2023, Euro 40

@rizzolibooks


Immagine di copertina: Lu Peng, Storia dell’arte cinese del XX e del XXI secolo, Rizzoli, 2023 (dettaglio copertina)


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