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‘Fanzine Culture’. Il mondo delle pubblicazioni amatoriali prima e durante l’era digitale

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Il mondo eterogeneo delle fanzine rappresenta un universo affascinante e spesso sottovalutato, un terreno fertile per l’espressione creativa e l’interazione sociale che esisteva ben prima dell’avvento di Internet e del web 2.0. Francesco Ciaponi, professore di Storia della Stampa e dell’Editoria, si è immerso a fondo in questo mondo, scrutandone la storia e l’impatto culturale nel suo nuovo libro ‘Fanzine Culture’, uscito a marzo 2024 con Flacowski, marchio editoriale di Flaco Edizioni Group.

Benché da decenni si preannunci la fine della carta stampata – soprattutto con l’avvento del digital publishing negli anni ’80 e ancor più con il diffondersi della rete – le pubblicazioni fisiche rimangono tutt’oggi un medium importante e influente, offrendo un’esperienza concreta e spesso più approfondita, che resiste alla frenesia e alla superficialità caratterizzanti gran parte dei contenuti digitali.

Entro l’universo della stampa, le pubblicazioni underground hanno svolto, e rivestono ancora, un ruolo fondamentale, creando spazio per l’espressione personale, artistica e politica fuori dai canoni ufficiali. Queste pubblicazioni includono sia le riviste tematizzate sia le fanzine, diffuse da appassionati di vari ambiti culturali. Tra l’altro, i confini tra le categorie si sono fatti decisamente labili, e ciò che le unisce è proprio la natura indipendente e sperimentale à coté della stampa ufficiale. Quest’ultima tende a seguire parametri editoriali più conformi e commerciali, mentre la cosiddetta Alternative Press è di frequente caratterizzata da uno spirito più idealista e sperimentale, nonché realizzata sovente con mezzi modesti e distribuita attraverso canali indipendenti. Soprattutto prima dei social media, si trattava di una delle poche vie per dare voce e diffusione a idee fuori dal coro, intessendo reti di connessione tra individui che la pensavano in modo analogo.

In ‘Fanzine Culture’, Francesco Ciaponi esplora proprio queste dinamiche, mettendo in luce come le fanzine abbiano effettivamente anticipato diverse dinamiche della sfera digitale, per esempio l’intelligenza collettiva e la partecipazione orizzontale. Al contempo, l’autore invita a riflettere su quanto Internet, pur essendo un potente aggregatore di intelligenze, possa aver perso in termini di sincerità, veridicità e onestà intellettuale rispetto alle pubblicazioni amatoriali.

Internet ha certamente contribuito alla democratizzazione dell’accesso all’informazione, creando nuovi meccanismi aggregativi e partecipativi, oltre a un’estensione e a una rapidità inconcepibili per il passato. In parte – forse – siti web, blog, forum e social media hanno addirittura soppiantato certe fanzine, offrendo piattaforme globali per la condivisione di contenuti e la formazione di comunità virtuali. Figli della stampa, anche questi strumenti digitali promuovono la partecipazione attiva e la creazione di contenuti da parte degli utenti ma operano in un contesto diverso, più vasto e accessibile e dalle differenti sfumature.

Esistono differenze significative tra i due mondi, digitale e cartaceo: le fanzine da sempre caratterizzate da una fisicità tangibile, un’artigianalità e un legame diretto tra chi le crea e il pubblico; un rapporto personale che Internet, con la sua vastità e anonimia, difficilmente riesce a replicare. Inoltre, le riviste autoprodotte operano in un contesto più limitato e intimo, dove le idee possono essere esplorate in profondità senza la pressione e la pretesa di raggiungere un pubblico massificato.

Ora che i due mondi – web e stampa – dialogano più strettamente, gli stessi artisti underground possono sfruttare la capillarità dei social media per comunicare con un più vasto target di riferimento.

Le webzine rappresentano un interessante punto d’incontro tra la tradizione cartacea e le dinamiche partecipative della rete. Anch’esse sono generalmente gestite da appassionati che vogliono condividere le loro idee, interessi e creatività con un’attiva comunità di fan; tuttavia, esse sfruttano le nuove possibilità offerte da Internet per espandere il raggio d’azione e potenziare l’interazione. Infatti le webzine possono raggiungere più facilmente un pubblico globale senza i costi di stampa e i problemi distributivi, rendendo accessibili i contenuti a un maggior numero di fruitori, indipendentemente dalla loro posizione geografica. A differenza delle loro sorelle cartacee, le webzine possono integrare elementi interattivi come commenti, forum di discussione, sondaggi e social media, favorendo una comunicazione bidirezionale tra autori e lettori e creando una comunità virtuale più attiva.

Altri aspetti distintivi delle webzine sono: la capacità di incorporare vari formati – oltre a testo e immagini: video, audio e animazioni – e la possibilità di essere aggiornate in tempo reale, con contenuti sempre freschi.

Sicuramente le webzine mantengono l’approccio indipendente e fuori dagli schemi, favorendo l’autenticità e l’espressione personale, e anch’esse collaborano a costruire e rafforzare comunità di persone con interessi comuni. Tuttavia, la carta garantisce un’esperienza fisica che (per ora) Internet, con la sua vastità e anonimia, non può replicare.

È importante però chiarire la differenza tra una webzine e un “normale” sito web (o un blog oppure un forum). Una pagina web può ospitare una vasta gamma di contenuti statici o dinamici con molteplici scopi, dalla promozione aziendale all’informazione generale; un blog è un sito gestito da un singolo o da un piccolo gruppo, caratterizzato da post più o meno frequenti, spesso redatti con un tono colloquiale; un forum, invece, è una piattaforma di discussione dove gli utenti possono interagire su vari temi attraverso messaggi e thread.

La webzine si distingue per il taglio editoriale più strutturato, sempre però indipendente dal circuito mainstream. Appare simile a un magazine tradizionale ma con la flessibilità e l’interattività tipiche della dimensione virtuale. A differenza dei blog, che possono essere più spontanei e personali, le webzine tendono a un’impostazione più formale, di norma curata da un team. Ciò le rende una sorta di ibrido, capace di combinare l’approfondimento e la qualità delle riviste con l’immediatezza e l’accessibilità dei media digitali.

Ciaponi ha dedicato gli ultimi dieci anni allo studio delle fanzine, alla loro storia ed evoluzione, esaminandone il ruolo all’interno dell’editoria indipendente e delle comunità. Dal suo lavoro emerge una narrazione ricca di spunti e riflessioni sulle dinamiche socioculturali che animano questo fenomeno. Uno degli aspetti più interessanti è probabilmente il focus sulle Amateur Press Association – APA, NAPA, UAPA – e il loro ruolo pionieristico nella creazione di un modello partecipativo e democratico all’interno dell’universo fanzine. Francesco mette in luce come tali associazioni abbiano contribuito a plasmare un ambiente in cui la creatività e l’interazione tra i fan fossero al centro, anticipando dinamiche ritenute spesso prettamente digitali.

Nel contesto culturale odierno, in cui l’onestà intellettuale e la sincerità sono a volte messe in discussione, ‘Fanzine Culture’ offre un’analisi critica sull’impatto di Internet come aggregatore di intelligenze, sollevando interessanti domande sulle conseguenze derivanti dalla digitalizzazione e sulle sfide che noi tutti dobbiamo affrontare per mantenere uno spazio libero e autentico dove esprimere e condividere argomenti e punti di vista.

Il lavoro di Ciaponi ci invita a esplorare una dimensione alternativa, dove le fanzine fungono da ponte tra poli distanti, coagulando idee ed esperienze in un’unica entità. Veniamo così portati a riflettere sul significato più profondo della creatività e della comunicazione umana, regalandoci uno sguardo privilegiato su un fenomeno culturale che continua a ispirare e che presumibilmente influenzerà anche le generazioni future.



Qual è stato l’elemento più sorprendente che hai scoperto riguardo al mondo delle fanzine, e come credi che possa sfidare le nostre attuali concezioni di creatività e comunità rispetto all’era digitale?

Sicuramente una delle scoperte più inaspettate riguarda il tema della fanzine come strumento “terapeutico”, una declinazione di questo medium che già conoscevo ma di cui ignoravo l’effettiva pratica, sviluppatasi in particolar modo negli USA per tentare di andare incontro a ragazzi e ragazze affetti dai più svariati problemi, dalle difficoltà di socializzazione, fino a disagi ben più articolati e profondi.

Da sempre la fanzine è sinonimo di sperimentazione e divertimento, cambiando forma e scopo in base alle differenti esigenze e agli ambiti di applicazione. Essa nasce proprio come strumento per la creazione di comunità e risulta molto più efficace di certi mezzi digitali, che possono sì instaurare legami ma spesso solo virtuali. Quindi, da questo punto di vista, fra i due media non esiste neppure la possibilità di una concorrenza o parallelismo di sorta. 

Per quanto riguarda invece il tema della creatività, credo che i due ambienti si integrino alla perfezione. La fanzine, per sua stessa natura, è un concetto liquido, soggetto a continue e inaspettate metamorfosi, che le permettono di sfruttare per i suoi scopi ogni tipologia di linguaggio o ambiente, e lo stesso avviene nel mondo digitale. Cosa mancava alle zine prima dell’esplosione del web? La possibilità di allargare il proprio target di riferimento? Nuovi strumenti per accorciare le distanze e velocizzare gli scambi? Un nuovo punto di vista su un panorama creativo più ampio e diversificato? Ecco, questi semplici esempi dimostrano quanto le fanzine sappiano prendere – un po’ come il bricoleur di Claude Lévi-Strauss – il massimo da ciò che hanno a disposizione piegandolo ai propri scopi, anche e soprattutto creativi. Esse possono permettersi di raccogliere stimoli persino dal digitale per riversarli sulla carta o su altri supporti fisici, cosa più complessa viceversa. Le fanzine non hanno rigide impostazioni a cui sottomettersi e quindi sperimentano anche (e non “solo”) con quanto il digitale è in grado di proporre. La stessa cosa non può avvenire nel senso opposto, in quanto il web può muoversi solamente nei pochi e angusti spazi che le grandi aziende che lo governano concedono agli utenti (non alle persone); e questo spazio non è poi così comodo, almeno per me.

Nel tuo libro parli delle Amateur Press Association e del loro ruolo nella nascita delle fanzine. Puoi spiegarci meglio in che modo queste associazioni hanno contribuito alla creazione di un modello partecipativo e democratico all’interno dell’autoproduzione?

Le cosiddette APA, di cui esistono tutt’oggi svariate tipologie, perlopiù in ambito anglosassone, sono piccoli circuiti composti da appassionati di editoria e stampa che, attraverso alcuni regolamenti, si scambiano materiali e sperimentazioni grafico-testuali per puro piacere e interesse. Proprio la loro crescita, pur sempre circoscritta agli addetti ai lavori, ha contribuito alla nascita delle fanzine e, ancor prima, di quel senso di appartenenza a una comunità ristretta – se vuoi elitaria – fondata su interessi e passioni comuni. Quelle che oggi definiamo community esistono infatti dall’alba dei tempi, sempre basate su pochi punti di convergenza, in cui gli appartenenti al gruppo si scambiano non solo materiali ma comportamenti, gusti, moda e molto altro. Questo è ciò che Sarah Thornton ha definito il “capitale subculturale”, una sorta di tesoretto di contenuti e pratiche che solo il gruppo conosce, non vincolato però all’appartenenza, mai dato una volta per tutte e che ha la splendida capacità di farti sentire parte di qualcosa; sentimento, quest’ultimo, oggi più importante che mai vista la completa atomizzazione del tessuto sociale in cui viviamo.

Come tu giustamente scrivi, le fanzine hanno anticipato molte delle dinamiche che frequentemente vengono ora e da molti attribuite all’ambito digitale. Puoi fare degli esempi?

Gli esempi che propongo nel mio libro partono dalle semplici mailing list e newsletter – le fondamenta stesse su cui si è sviluppata la cultura fanzinara oltre un secolo fa – fino ai temi oggi centrali nel dibattito sul digitale quali la viralità, rappresentata assai bene dai meme. Proprio quest’ultimo elemento, il meme, così come spiegato bene da Valentina Tanni, è un’unità che certo non nasce in seno al digitale, anzi! La sua prima definizione proviene infatti dal mondo della biologia, nello specifico dal libro di Richard Dawkins ‘Il gene egoista’ del 1976. La viralità con cui si propaga questo basico elemento culturale è perfetta per le dinamiche digitali, in quanto velocizza, sintetizza – e direi banalizza – contenuti a volte complessi con il risultato che vediamo oggi in tutti i principali dibattiti culturali: risposte semplici e immediate “vendute” come la soluzione a problemi che invece si fanno sempre più complessi.

Il meme richiama certe dinamiche della sticker art oppure delle vecchie scritte murali da cui si è sviluppata anche la street art e che, non a caso, continuano a riscuotere enorme successo proprio sui social media. Nelle fanzine è ontologicamente presente una spontanea quanto diffusa attitudine al riuso – al bracconaggio direbbe Michel de Certeau, al plagiarismo sosteneva Stewart Home – insomma, al far propri contenuti altrui con il chiaro intento di rimetterli in circolo in nuove forme, nuovi canali e con significati inediti. Niente di originale quindi, se non nelle dimensioni e nella velocità di propagazione che oggi ha assunto la memetica. Questi fattori però non dipendono dal processo comunicativo che vi sta alla base, ma dalla mutata strumentazione che abbiamo oggi a disposizione.

Le fanzine offrono uno spazio libero per immaginare e sperimentare nuovi modi di pensare, comunicare ed essere. Qual è, secondo te, il loro ruolo nel contesto culturale contemporaneo più ampio?

Oltre alla declinazione pedagogica di cui ho parlato in precedenza, credo che esse siano ancora oggi una scala armonica su cui ognuno ricerca il proprio timbro, quello più adatto ai suoi interessi del momento. Dopotutto, le fanzine rispondono alle esigenze del presente e, soprattutto, al desiderio di esprimersi indipendentemente dal contesto e dal pubblico di riferimento nonché da qualsiasi dinamica esterna. Nell’attuale paesaggio culturale, dominato dalla frenesia e dal pessimismo, che spazia dalle preoccupazioni individuali alle fosche prospettive per il futuro dell’umanità, è confortante sapere che esiste ancora uno spazio protetto. Le fanzine possono rappresentare proprio un’area sicura entro cui costruire legami basati su idee, punti di vista e proposte personali.

Avere esempi a cui aggrapparsi è spesso decisivo per la formazione di un individuo. Sapere che le fanzine rappresentano ancora uno spazio aperto, libero, creativo e vitale può dimostrare che esistono – e esisteranno sempre – margini, prospettive o almeno una direzione verso cui guardare senza tanta paura.

Parli dell’importanza della sincerità, veridicità e onestà intellettuale nel contesto dell’autoproduzione. Come pensi che Internet abbia influenzato questi valori e quali sono le conseguenze di questa trasformazione?

Non penso che Internet abbia ancora la capacità di manipolare valori come la sincerità e l’onestà intellettuale. Quello che credo sia ormai chiaro a tutti è che gli strumenti del mondo digitale possono spezzare e frantumare certi legami sociali, facendoci credere di essere “connessi” mentre in realtà (e so che questo può sembrare un cliché) siamo tutti molto più soli.

Le qualità che attribuisco al contesto autoproduttivo esistono proprio perché si basano su due elementi imprescindibili: da un lato, l’orgogliosa e irriducibile voglia di allontanarsi dalle dinamiche commerciali e dai soldi, un’attitudine che tende a evitare certi comportamenti che spesso sembrano naturali nel mondo esterno. Dall’altro, la vicinanza fisica che solitamente accompagna lo scambio di fanzine, un momento fondamentale per restituire agli individui quel contatto che sempre più spesso viene a mancare.

Esistono anche le webzine. Internet non rappresenta solamente un diverso supporto per l’autoproduzione?

Certamente esistono, anche se in misura sempre minore perché sostituite da spazi come i gruppi presenti nei social media, che non sono più totalmente liberi e aperti. Le webzine possono talvolta sostituire la produzione fanzinara ma a mio avviso, mancando della componente tattile, della fatica del costruire, della sperimentazione manuale e dello scambio interpersonale, portano con sé un deficit non banale e soprattutto difficile da colmare.

Puoi illustrare come le fanzine tendono a coagulare e unire punti distanti per formare un’unica entità? In che modo questo concetto si collega alla tua critica di Internet come aggregatore di intelligenze?

Le fanzine per loro natura operano in modo duplice: da un lato promuovono la libera e individuale facoltà di esprimersi in qualsiasi forma e linguaggio, dall’altro non esisterebbero senza una prospettiva complessiva, in cui ciascuna tende a interagire con le altre fino a formare un corpus unico. Nella sua complessa vastità ed eterogeneità, la pratica portata avanti dai fanzinari può essere assimilata, con i dovuti distinguo, all’idea di “moltitudine” teorizzata da Toni Negri e Michael Hardt. La moltitudine non intesa come popolo, perché non è riducibile all’uno, né come massa, perché la massa è caratterizzata dall’indistinzione, e nemmeno come classe, perché indica qualcosa di più dell’appartenenza a una specifica categoria sociale. “Moltitudine” intesa invece come una rete di singolarità in cui tutte le differenze si esprimono liberamente e in forma egualitaria, una rete che produce i mezzi dell’incontro affinché sia possibile vivere e creare insieme.

Qual è stato il tuo approccio nella scelta della casa editrice?

Flaco Edizioni mi ha contattato per una pubblicazione a tema fanzine e, dopo aver dato un’occhiata al catalogo della casa editrice, ho proposto loro un libro un po’ strano. Nella prima parte ho voluto inserire una sezione storiografica, seguita da un testo in cui cerco di fare un passo avanti nello studio delle fanzine, azzardando alcune ipotesi teoriche sul rapporto tra le zine e certe dinamiche che molti considerano specifiche del mondo digitale.

Molti storici magazine autoprodotti hanno avuto inizi idealisti, caratterizzati da grafica e supporti sperimentali e da mezzi spesso modesti. Successivamente alcuni di loro si sono per così dire “istituzionalizzati”, trasformandosi in riviste più strutturate, dai prezzi più alti e con target diversi. Un esempio notevole è Emigre, che dagli esordi negli anni ’80 fino ai primi anni 2000 ha subìto profonde trasformazioni. Qual è la tua opinione su queste evoluzioni, che spesso rappresentano un processo naturale per alcune fanzine? Credi che questi cambiamenti possano influenzare l’identità originale e il rapporto con la base di lettori e fan?

Sinceramente non ho mai compreso il pregiudizio negativo verso quei casi di autoproduzioni che sono riuscite a emergere o che fin dall’inizio avevano una progettualità ben definita, anche se ciò implicava i cambiamenti di cui parli. Credo che se un individuo decide di scrivere un diario, è naturale che non intenda condividerlo. Tuttavia, quando si tratta di una fanzine, che è per definizione un progetto destinato alla diffusione, se questo processo di condivisione ha successo, anche al di là delle aspettative dell’autore, non vedo dove sia il problema.

Naturalmente saranno i lettori a valutare il grado di sincerità e la qualità del progetto, e saranno liberi di abbandonarlo, come è successo anche a me in casi simili. Non lo considero un tradimento ma uno sviluppo naturale che auspicherei diventasse più comune. Immagina che bello se in edicola o in libreria potessimo trovare una miriade di progetti nati dal mondo delle autoproduzioni, modificati quanto si vuole ma comunque estranei, almeno originariamente, alle grandi case editrici e alla distribuzione monopolistica.

In definitiva, penso che le due facce della medaglia – autoproduzione e mainstream – dovrebbero bilanciarsi e influenzarsi molto più di quanto non avvenga attualmente. Questo significherebbe che le fanzine acquisirebbero una rilevanza non solo numerica ma anche significativa, una rilevanza che, almeno in Italia, fatichiamo ancora a vedere purtroppo.


Francesco Ciaponi, FANZINE CULTURE, 2024, Flacowski edizioni

www.flacoedizioni.com
@flacoedizioni


Immagine di copertina: FANZINE CULTURE, Cover


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