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Scarpette Porselli, una storia milanese della danza

Eugenio Porselli 01
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Molti anni prima della nascita di Eugenio Porselli, sotto le volte dorate dei fastosi teatri delle corti imperiali, il silenzio pregno di aspettative avvolgeva la platea mentre le luci si abbassavano lentamente. Sul palcoscenico i ballerini si apprestavano a fare il loro ingresso, i costumi erano pesanti per le giovani ballerine e le scarpette con il tacco costringevano i movimenti a semplici e aggraziate gestualità.

Con la caduta della Bastiglia e il crescente grido di libertà, anche il balletto sentì l’impulso di liberarsi dai vincoli dell’Ancien Régime: le scarpette delle interpreti femminili subiscono una trasformazione anche simbolica e si rinnovano così in delicate pantofole di seta, ad indicare una estrema femminilità e una maggiore libertà nell’eseguire salti e movenze: un inizio di affermazione d’indipendenza e di nuovo ruolo sociale per le ballerine.

Maria Taglioni, prima grande ballerina dell’epoca romantica, nel 1832 interpretò sul palcoscenico dell’Opera di Parigi il balletto La Sylphide, coreografato dal padre Filippo Taglioni, debuttando con una nuova tecnica di danza interamente sulle punte dei piedi: questo momento storico non solo catturò il cuore di tutta la platea, ma segnò l’inizio di una nuova era di trasformazione artistica nel balletto.

Questi prototipi di scarpette non erano dotati di una parte rigida in punta, le ballerine si fasciavano così le estremità dei piedi per creare un minimo di sostegno per sorreggere il peso del corpo.

Pierina Legnani, “prima ballerina assoluta” del Teatro alla Scala nel 1892, famosa per i trentadue fouetté in punta di piede sul palcoscenico imperiale di San Pietroburgo, musa prescelta del grande Petipa, promosse l’uso di indossare scarpette con la punta rinforzata e appiattita.

Anna Pavlova, prima straordinaria interprete nel 1907 de La morte del cigno, su musiche di Saint Saëns, ambasciatrice del balletto classico in tutto il mondo, si è distinta per il suo stile incomparabile e la profonda emotività delle sue interpretazioni. Aveva un collo del piede notevolmente accentuato e fece così realizzare all’interno della scarpetta una soletta in cuoio e un’imbottitura rigida nella zona intorno alle punte delle dita dei piedi: l’archetipo della scarpetta da punta moderna!

Nella Milano degli anni Venti del Novecento, Viale Stelvio era un ampio viale costeggiato da maestosi alberi, percorso da persone a piedi e dai più fortunati in bicicletta. Questo quartiere rappresentava il cuore pulsante della classe operaia, con piccole botteghe artigiane e famiglie che sbarcavano il lunario con lavori umili ma essenziali per la società, in un periodo difficile compreso tra i due conflitti mondiali.

Ancora lontani dal boom economico degli anni Cinquanta, proprio in questo contesto, nel 1921, Eugenio Porselli rilevò la piccola azienda Niccolini, già specializzata nella manifattura di scarpette da balletto: una visionaria determinazione che comportò un impegno notevole verso l’arte della danza, in un contesto economico nazionale ancora in via di consolidamento. Eugenio Porselli si ritrovò così con la moglie Giovanna, che faceva la camiciaia, a dover perfezionare una tecnica artigianale precisa e al tempo stesso raffinata nella manifattura delle scarpette da danza, elemento ormai non più accessorio, ma un tutt’uno con le movenze della ballerina.

La scarpetta da punta è un qualcosa di magico, un sogno di tutte le giovanissime ballerine, un traguardo verso cui la fantasia saltella con i primi passi di danza, e la sua realizzazione deve essere necessariamente un’arte che con maestria combini una linea armoniosa con i movimenti fluidi ed eterei delle ballerine.

Forma e leggerezza, eleganza e precisione, forza e resistenza sono le precise qualifiche cui deve aspirare la manifattura di una scarpetta, per aiutare a conferire ai movimenti un aspetto impalpabile e quasi soprannaturale.

Pertanto, Eugenio e la moglie Giovanna nel seminterrato del palazzo di Viale Stelvio unirono le loro capacità artigianali e si dedicarono anima e corpo a questa nuova avventura, concentrandosi specialmente sulla struttura ideale della mascherina rigida della scarpetta.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, rimasta vedova, Giovanna assunse la guida della piccola azienda, intraprendendo un percorso segnato da impegno e dedizione. Sotto la sua direzione, il nome Porselli si affermò come marchio distintivo delle scarpette da danza italiane nel mondo, grazie anche alla notorietà internazionale di Carla Fracci, che rigorosamente indossava solo Porselli.

Diventa e rimane un’azienda a conduzione familiare, anzi matriarcale, dove ancora oggi Vanna Porselli, dopo la madre Liliana, tiene saldamente le redini del marchio, preservando la tradizione di una manodopera rigorosamente artigianale.

La signora Liliana cavalcò il periodo più lustro della danza classica italiana, istituendo anche il premio Porselli “Una vita per la danza”, presieduto dal “prof.” della danza Alberto Testa, che ogni anno premiava la carriera di ballerine internazionali del calibro di Margot Fonteyn, Yvette Chauvirè, Marta Graham, per citarne alcune.

Anche la scarpetta da mezza punta in pelle subisce un’evoluzione: le signore milanesi, affascinate dallo “stile ballerina”, amavano indossarle e le acquistavano nel celebre negozio dietro al Teatro alla Scala, in piazza Ferrari, disponibili in diversi colori. In risposta alla crescente domanda, il design e lo stile sono stati adattati per l’utilizzo quotidiano, integrando una suola rinforzata ideale per la camminata in città. Successivamente, a seguito di ulteriori richieste, è stato introdotto un lieve tacco, conferendo alla calzatura un carattere ancora più adatto al “city style”.

Negli anni Sessanta, con l’avvento dei nuovi tessuti elasticizzati, viene lanciata la linea di abbigliamento Porselli, destinata a vestire le allieve di innumerevoli scuole di danza classica in tutta Italia e oltre.

Nel laboratorio, la ricerca dell’innovazione non conosce mai tregua. Nuovi materiali e tecniche sono sperimentati, sempre con l’obiettivo di migliorare il comfort e la performance delle scarpette. Nonostante il passare degli anni e l’avanzare delle tecnologie, il cuore artigianale dell’azienda rimane intatto, preservando quella scintilla di magia che aveva reso uniche le scarpette di Eugenio.

Vanna Porselli è particolarmente orgogliosa del fatto che il blocco della scarpetta, la mascherina, è realizzato meticolosamente con resina e tessuti naturali, e ancora oggi la lavorazione è eseguita a mano.

Entrata in azienda all’età di 25 anni, subito dopo aver conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università Statale di Milano, pur essendo appassionata di letteratura, con la madre al suo fianco che le trasferì non solo tutti i segreti del mestiere, ma la passione per questo mondo incantato, si ritrovò così a proseguire un viaggio dove il marchio Porselli, nel frattempo, si era affermato nel panorama del balletto internazionale.

Nel sentire i suoi aneddoti sulle personalità artistiche incontrate nel corso degli anni, che hanno segnato la storia del balletto, mi è sembrato di essere immersa nell’ascolto di un podcast, dove i ricordi danzano con la grazia e l’armonia di una coreografia di Petipa.

Viviamo tempi in cui molte piccole aziende artigianali a conduzione familiare hanno venduto il proprio marchio a grandi imprese, che pur avendo ampliato la portata commerciale su scala globale, hanno spesso compromesso le radici e l’essenza stessa di queste storiche realtà, distaccandole dai loro valori originari.

Porselli è ancora legata alla sua storica dimensione che sembra quasi irreale, i suoi uffici in Viale Stelvio, le sue tradizioni ben ancorate, il suo negozio in Piazza Ferrari a Milano, una famiglia che generazione dopo generazione continua a essere il simbolo dell’arte di Tersicore.

In questo contesto, dove tutto pare sospeso in una realtà che sfuma rapidamente, rendendo ardua la competizione con i colossi dell’economia globale, Porselli, con la guida di Vanna, non solo persiste, ma celebra il proprio radicato DNA, continuando a infondere in ogni creazione tradizione e artigianalità che la distingue: rimane un simbolo di resistenza culturale, dimostrando che la fedeltà alle proprie radici può ancora farsi strada nel mercato globale.

Una storia sui palcoscenici: come le ballerine che, in punta di piedi, incarnano la quintessenza della resilienza fisica, così Porselli esprime una tenacia comparabile nel mercato globale, le sfide si trasformano in una coreografia di eccellenza e impegno, dove ogni passo, simile all’artigianalità meticolosa delle scarpette, rivela e rivelerà la tenacia che è tanto arte quanto spettacolo e quando cala lentamente il sipario, lasciando il pubblico in trepidante attesa della prossima esibizione, è in quel momento che si coglie appieno la magia del balletto e dell’impresa Porselli, destinato a incantare ancora a lungo il mondo.

@porselli_dancewear


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